Paesaggio riciclato: il confine sottile tra Land Art e spazzatura

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Palo Alto, California. Il Byxbee park è un intervento di land art che si estende di fronte alla baia di San Francisco: un paesaggio tendenzialmente pianeggiante, discarica di spazzatura dismessa accanto alla pista di atterraggio di Palo Alto. Privo di alberi ad alto fusto, attraverso le fotografie si percepisce quello che deve essere il carattere principale di questo luogo riciclato, senza un confine certo, fatto di enormi distanze, lunghe prospettive, campi lunghi e lunghissimi che mettono in risalto una terra desolata, dove il vento e la linea d’orizzonte netta tra cielo e terra saturano ogni altra percezione.

Land art: un campo di grano per riqualificare un’area dismessa di Los Angeles

Di fronte a questo panorama a perdita d’occhio, si percepiscono di tanto in tanto elementi antropici, fortemente caratterizzati ma allo stesso tempo attentamente studiati per conferire al paesaggio, una volta occupato da spazzatura, il valore di un’opera d’arte naturale.
Si tratta di operazioni minimali, movimenti di terra attraverso dei cumuli artificiali, terrapieni, opere scultoree come elementi prefabbricati, pali in cemento ripetuti in serie, disposti a zig zag come prosecuzione della pista di atterraggio di Palo Alto, frangi–flutti per rallentare l’erosione dovuta alle maree.

Sono queste alcune delle opere di land art e di earthworks progettate e realizzate tra il 1988 e il 1992, dall’architetto e paesaggista George Hargreaves e dagli artisti Peter Richards e Michael Oppenheimer, i quali hanno operato tentando di “coniugare i tempi del disastro ecologico con i tempi del recupero biologico ed ecologico”. Perché il Byxbee park è uno dei primi progetti di bonifica di una ex–discarica attraverso la riconversione a parco pubblico.

Il parco originario degli anni Novanta si estendeva per 29 acri (circa 12 ettari), ma oggi l’area destinata a parco ha visto ha esteso il proprio confine attraverso l’apertura al pubblico, in fasi successive , di altre tre grandi aree adiacenti alla prima, rispettivamente due grandi aree nel 2011 e un’ultima proprio nell’estate di quest’anno, come riportano le notizie locali.

Le scelte paesaggistiche e formali rievocano un paesaggio post–industriale, ma sono anche studiate per rispettare i trattamenti di smaltimento della discarica, ormai sotterrata nel parco. L’assenza di vegetazione ad alto fusto, ad esempio, è dovuta alla necessità di limitare il rischio che radici troppo profonde vadano più a fondo dello spessore di terreno soprastante della discarica, danneggino lo strato di impermeabilizzazione che la sigilla.

A questo proposito c’è da sperare che i 100mila alberi di cui parla il sindaco Marino per la riconversione in parco di Malagrotta siano scelte anche in base a questi criteri.

Certamente questo parco, nel suo nucleo più antico, è da annoverarsi tra i precursori di un processo di trasformazione del territorio oggi ricco di episodi esemplari, come il parco di Tel Aviv, parco Garraf in Spagna, Fresh Kills Landfill a Staten Island NY (considerata la più vasta area di stoccaggio di rifiuti al mondo, 890 ettari, dal 1948 fino al 2001, quando fu chiusa per essere convertita a parco).

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La ricerca di soluzioni sostenibili prende in esame le potenzialità che la natura stessa offre, si affiancano dunque tecniche quali l’estrazione di biogas, sistemi di fitodepurazione, o biorimediazione, alle scelte paesaggistiche e ambientali più suggestive, cercando di mediare tra la concezione più antica del rifiuto inteso come qualcosa da rifiutare appunto, e la necessità di coinvolgerlo nuovamente nei processi di trasformazione del territorio, sperando che “l’immondizia divenga fenomeno culturale forse capace di suscitare un pensiero e una riflessione” (N. Trasi).




Giulia Custodi

Giulia Custodi Architetto

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