Architetture del dopo. Costruire con salice, canna, bambù, paglia

architetture del dopo: Casa de Laila

Progettare prima e realizzare poi, in Architettura e in Ingegneria, sono due azioni che devono confrontarsi con l’evoluzione in corso, nell’era geologica attuale che il biologo Eugene F. Stoermer ha definito come Antropocene. Un’evoluzione che coinvolge i territori sotto l’aspetto climatico e che presenta i relativi riflessi sul mondo vegetale e animale, ma che fa rilevare anche cambiamenti anche nell’ambito dell’economia, della cultura e del sociale.

In copertina: Casa de Laila, spazio multifunzionale realizzato con il metodo costruttivo “canyaviva” a cura dell’architetto Cory-Wright. Località: Alhaurín el Grande, Malaga, Spagna.

Con il passaggio nell’Antropocene i progettisti devono pensare in previsione di ciò che accadrà in un futuro non troppo lontano. Qualsiasi scelta progettuale deve essere fatta in funzione di un possibile cambiamento, di un territorio, di una città, di un paesaggio. Un fenomeno naturale potrebbe modificare radicalmente un luogo e con esso coinvolgere le scelte abitative di gruppi di persone più o meno numerosi: un esempio può essere quello dei dissesti idrogeologici innescatisi in Italia, dal Nord a Sud, che stanno sconvolgendo la vita di numerosi centri abitati. Ma alla pari di un fenomeno scaturito dalla natura, anche un fenomeno legato al mondo dell’industrializzazione può sconvolgere un habitat e con esso tutti gli esseri che lo popolano: in tal caso per correre ai ripari si tende a perseguire la cosiddetta “rinaturalizzazione” dei luoghi, cercando di contrastare il più possibile, o quanto meno limitare con metodi naturali, il diffondersi dei fenomeni di degrado.

L’estinzione affascina. È il grande silenzio, la dolce morte, la fine delle sofferenze, l’immenso nulla cha fa risuonare il cosmo, le infinite possibilità e l’indicibile noia, l’ozio eterno, ci rimbalza nell’immortalità di cui solo gli dei sono depositari, è un vortice in cui l’eternità e attimo possono identificarsi, è una delle più seducenti maschere della morte. La lezione che ad ogni estinzione corrisponde uno scatto evolutivo, la vita che resta si riorganizza in modo diverso, spesso più complesso, l’estinzione serve alla vita per rinascere più forte.

Certo è, come scrive l’autore di Architetture del dopo, Maurizio Corrado, che dove il modello della produzione industriale prevale, l’educazione forma dei consumatori tra di essi competitivi, la medicina tende a mantenerli in vita e la burocrazia li controlla, ottenendo (purtroppo) degli individui che sono dipendenti dal sistema e altri individui che cercano di diventarlo forse per sentirsi più protetti, o più sicuri, omologandosi al resto della popolazione.

Torre di bambù per Green Utopia, a cura dei progettisti Ziegert Roswag Seiler Architekten Ingenieure. Località: Milano.Torre di bambù per Green Utopia, a cura dei progettisti Ziegert Roswag Seiler Architekten Ingenieure. Località: Milano.

È anche tristemente (n.d.r.) vero che in ogni società industriale lo sviluppo di tale contesto ha avuto lo stesso effetto sugli abitanti; tale effetto altro non è che quel fenomeno di dipendenza dai prodotti industrializzati che alla lunga ha fatto letteralmente atrofizzare il pensiero di moltissimi individui che si sono disabituati a ideare e a costruire oggetti, edifici o altro in linea con le specifiche esigenze, affidandosi invece a soluzioni preconfezionate da adattare (a volte alla meno peggio) alle situazioni.

Il concetto di dopo che proponiamo in questo lavoro non è definito, proprio per lasciare la possibilità di immaginare altri mondi possibili. L’Antropocene non è un’idea, ma un metodo di lettura della realtà e risulta chiaro come quella comfort zone costruita dal sistema industriale neoliberista sia crollata […] Si può affermare che il modo di percepire il mondo della cultura sedentaria è fondato sullo spazio, mentre quello della cultura mobile è fondato sul tempo.

 Verrebbe da chiedersi perché parlare di simili concetti, del tempo, dell’estinzione, in un libro che ci si aspetterebbe tratti materiali naturali per l’edilizia sostenibile.

Il motivo è semplice: dall’inizio del XX secolo la sensibilità nei confronti del mondo vegetale si è evoluta di pari passo con quella verso il pensiero scientifico e verso la coscienza ecologica; ci si è resi conto – o forse già se ne era a conoscenza ma non si perseguiva come fine ultimo – che la tutela delle piante, confermate a tutti gli effetti esseri viventi, potrebbe aiutare a non estinguerci. Oltretutto è grazie alle piante che sono nate le prime civiltà, basti pensare ai mezzi di sostentamento, sia per il nutrimento che per la costruzione di oggetti e di edifici, con cui le popolazioni sono riuscite a diventare stanziali.

Quando abbiamo deciso di nutrirci essenzialmente di piante abbiamo adottato anche il loro stile di vita, la loro scelta di stare ferme in un luogo. Da un altro punto di vista, sono le piante che ci hanno addomesticato, obbligandoci a seguire le loro scelte.

Basta guardare alle città più popolate al mondo fino ai piccoli villaggi per avere un’idea di quanto i materiali naturali come salice, canna, bambù, paglia siano stati in passato e siano ancora oggi alla base di tecnologie naturali che altro non  sono che le rivisitazioni delle tradizionali tecniche costruttive. Come a volte si fa nelle attività laboratoriali con i bambini, per insegnargli come si organizzavano gli uomini primitivi per produrre qualcosa, basta mettersi in gioco con lavori manuali, pratici,  riesumando antiche tecniche e adattandole però alle nostre esigenze. Siamo in un periodo storico in cui pensare green non dovrebbe essere ne una tendenza di moda e neppure una scelta inconsapevole impostaci da altri: in Architettura le scelte dal risvolto green devono essere consapevoli!

La responsabilità di cosa e come un edificio verrà realizzato deve coincidere con degli obiettivi ben precisi e senza tralasciare gli aspetti di comfort e quelli estetici; d'altronde un edificio di cui saremo gli utenti finali deve essere di nostro gradimento: un materiale naturale pertanto, oltre alle sue peculiarità tecniche e a quelle ecologiche, bisogna che soddisfi anche altri criteri.

Nel libro Architetture del dopo il tema dell’ecosostenibilità non è incentrato esclusivamente sull’ecologia delle materie prime e sulla loro qualità di essere economicamente abbordabili e facilmente reperibili in natura – il che sarebbe già di per sé sufficiente a consigliarle ai progettisti – ma si pone l’accento anche su quel loro valore intrinseco legato al loro utilizzo nel corso della storia, nonché al loro legame con leggende e tradizioni popolari. Ecco che per salice, canna, bambù e paglia, il significato di ecosostenibilità risulta essere a 360 gradi.

L’autore ci pone davanti alle motivazioni delle scelte fatte nel corso dei secoli dagli utilizzatori di diversi materiali naturali che hanno optato per delle scelte cercando le soluzioni più idonee a soddisfare delle esigenze che vanno dal pubblico al privato, dall’edificio religioso a quello espositivo. È interessante scoprire quali siano le vicende legate per esempio all’uso del salice nell'architettura e nella storia, o quelle della comunissima canna palustre che spesso ci capita di vedere lungo gli argini dei fiumi o dei canali, ma che mai la maggior parte della gente immaginerebbe di conoscere per le sue caratteristiche di materiale per l’edilizia.

Il libro è estremamente istruttivo e affascinante nella forma in cui l’autore scandisce i paragrafi, dedicando la prima parte di ciascuno al racconto storico del materiale piuttosto che del sistema costruttivo. In particolare ciò che mi ha colpito maggiormente sono le vicende legate all’uso dei salici per creare strutture temporanee – grazie all’auto-smaltimento dell’esoscheletro della pianta dopo la sua morte –, delle canne di fiume e del bambù per strutture imponenti ma nello stesso tempo leggere e flessibili nelle forme, e l'uso della paglia per realizzare case, impiegata per le sue eccellenti qualità isolanti (termiche e acustiche) e per la sua ottima resistenza sismica, sono la testimonianza di un presente in cui l’uso di materiali vegetali viventi è una pratica ancora oggi diffusa che, proprio nell’ultimo decennio, sta ridestando interesse  nel mondo dell’Architettura: vedi ad esempio il fenomeno delle tecniche costruttive sperimentali come quella chiamata “canyaviva” che viene citata anche nel testo.

Ritengo che il target di lettura del testo sia equilibrato dal punto di vista lessicale, e adatto a lettori sia con competenze tecniche relative al mondo dell’Architettura e dell’Ingegneria edile, sia al settore dei paesaggisti e degli agronomi. Naturalmente non ne è preclusa la lettura ad un pubblico più vasto, di appassionati della materia, stante il carattere narrativo con cui è scritto e i numerosi riferimenti storico-culturali cui rimanda.

La lezione che Maurizio Corrado ci trasmette, serve a capire non solo che ci troviamo in un periodo di profondi cambiamenti, ove l’uso di materiali naturali, dalle elevate qualità tecniche e reperibili in natura o comunque facilmente coltivabili, sarebbe di grande aiuto almeno per sopperire ai danni ambientali di cui l’industria edilizia è colpevole, ma che l’oculata scelta di determinate piante per la realizzazione di prodotti edilizi o di design avrebbe dei riflessi positivi anche sull’aspetto del comfort, dell’economia, e finanche del sociale.

Scheda tecnica del libro 

Titolo: "Architetture del dopo. Costruire con salice, canna, bambù, paglia"
Formato: cartaceo (130 x 200 mm)
Editore: Derive Approdi 
Pagine: 240 (illustrato)
Data pubblicazione: (I edizione) Agosto 2020
Autore: Maurizio Corrado
Collana/argomento: Ambiente, antropologia ed etnografia
ISBN: 9788865483268
Lingua: Italiano

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L’autore: Maurizio Corrado

Maurizio Corrado è architetto e saggista, vive a Bologna. Si occupa di ecologia del progetto dagli anni Novanta, svolgendo attività didattica e organizzando eventi. Ha curato trasmissioni di design per Canale 5 e SKY. Ha pubblicato con diversi editori oltre 20 libri di saggistica su design e architettura ecologica, di cui alcuni tradotti in Francia e Spagna. È docente all’Università di Camerino, alla Naba di Milano e all’Accademia di Belle Arti di Bologna e di Verona. Cura un blog su Repubblica: «L’Architetto nella foresta». È considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto fra piante e architettura.

Mariangela Martellotta

Mariangela Martellotta Architetto

Architetto pugliese. Prima di decidere di affacciarsi al nascente settore dell’Ecosostenibilità lavorava nel settore degli Appalti Pubblici. È expert consultant in bioarchitettura e progettazione partecipata. Opera nel settore della cantieristica. È membro della Federazione Speleologica Pugliese.